Ricordo di mortadella…

Oggi ho accompagnato nelle Langhe due esperti di vino e di cibo, e direi che una compagnia migliore per questo tipo di gita non avrei saputo immaginarla…

Parto dal vino: il tour tra assaggi e acquisti si divide in tre tappe, e nell’ordine visitiamo le cantine di Mascarello Giuseppe e Figlio, Mascarello Bartolo e Rivella Serafino.

Io non sono una tecnica, e non so distinguere aromi, fragranze, sentori…ma ho assaggiato con piacere queste delizie e accanto ho ascoltato con interesse i racconti appassionati di queste tre famiglie.

Tornando in auto ho riflettuto su tre parole, oggi sulla bocca di tutti, che qui hanno assunto un valore diverso: comunicazione, innovazione e lavoro.

Ho ascoltato il racconto della tristezza nata da una recensione non proprio positiva e queste parole piene di amarezza e dispiacere mi hanno fatto pensare che, in un mondo governato da comunicazione e media, qualche riga scritta e letta su una rivista o su un blog, o qualche frase pronunciata o ascoltata in un’intervista o in una degustazione, possono, in un istante, regalare un futuro radioso o stroncare il lavoro di tanti anni. Quanti si limiteranno a leggere le parole di esperti enologi per decidere quali vini acquistare per le prossime cene o regali? Quanti azzereranno il proprio gusto personale a favore dell’ennesima moda passeggera? Quanto ci stiamo trasformando nei replicanti di un episodio de “Ai confini della realtà” che tanto ci spaventava a guardarlo in televisione?

Poi mi sono persa nel racconto di una tradizione, di come un vino sia nato seguendo procedure e modi precisi e di come si cerchi di restare il più possibile aderenti a quel percorso. Perché qui l’innovazione esiste solo a servizio della tradizione: non si cambia solo per il gusto di farlo, di stupire, di colpire l’attenzione. Si migliora laddove si possa e si voglia, ma senza stravolgere, solo guardando con rispetto al passato, lavorando per esaltarlo, non per calpestarlo. E questo crea un’identità che si riconosce, che salta all’occhio istintivamente, e che si fa conoscere nel mondo.

E poi ho ascoltato una storia: tanti anni fa, a pochi giorni dalla vendemmia, una grandinata arriva forte e improvvisa e brucia i grappoli a metà. La famiglia si riunisce attorno a delle ceste di vimini, indossa dei guanti di tela e con pazienza separa gli acini buoni da quelli secchi, e va avanti senza sosta, senza lamentarsi, senza protestare, fino a farsi venire i buchi nelle dita, fino a quando si deve fare. Perchè il lavoro è fatica, impegno, costanza e sacrificio. Oggi non ci sono italiani a lavorare nelle vigne, troppa fatica e poco guadagno, ma quanta dignità in queste parole, quanta tradizione. Quanto amore per il proprio lavoro. Quanto amore negli occhi di queste due persone.

Anche la parte dedicata al cibo offre ampi spunti di riflessione. A pranzo andiamo alla Trattoria la Coccinella, a Serravalle Langhe; varcata la soglia compare un bancone tipico dei bar di paese, un signore sorridente che saluta, una mensola piena di nocciole e liquori. Oltre una piccola porticina chiusa qualche tavolo ben apparecchiato, posto alla giusta distanza per permettere conversazioni piacevoli, e una parete piena di bottiglie di indiscussa qualità. Il menù è davvero invitante, alla fine scelgo i tajarin ai funghi, un piatti di formaggi locali e un sorbetto al torrone.

Al di là del cibo davvero meraviglioso mi colpisce il contesto garbato, come se varcata la porta si facesse un salto indietro nel tempo, in un luogo dove non c’è musica ad alto volume, non ci sono parole urlate nell’aria, risate sguaiate, modi scortesi. Tutto si svolge in un equilibrio di grazia ed educazione che rendono il pranzo un momento di rinascita, ed esco da lì come se avessi fatto una settimana di vacanza.

Tutte le persone incontrate oggi, 
ciascuna a suo modo, mi hanno davvero regalato tanto. Innanzitutto la consapevolezza che al di là delle parole, delle immagini, delle mode, l’eccellenza italiana si trova in questi contesti, capaci di vivere della realtà e della sostanza.

E poi una speranza per la mia Carolina, che forse, se sarò in grado di mostrarle i giusti modelli, saprà vivere una vita felice e piena.

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