14 Gen Ti sembrerà strano, ma per il mio lavoro mi faccio pagare
Dopo aver pubblicato il post “Ti sembrerà strano, ma il mio è un lavoro“, ho capito che la tematica è molto sentita nel mondo dei liberi professionisti, così ho deciso di restare ancora sul tema approfondendolo anche dal punto di vista economico.
Anni fa era uscita la campagna #coglioneNo, che definirei geniale, ma ahimè sempre attuale.
Non elenco le volte in cui ricevo una mail di richiesta, rispondo con garbo e gentilezza allegando il mio preventivo, e in modo più o meno velato ricevo la risposta “Ah, ma perché, ti devo pagare”?
Ebbene, sfatiamo un mito: il libero professionista non è una figura strana che sopravvive d’aria e sogni, anche il libero professionista si fa pagare.
Non è che passa un’ora al telefono con te parlando del tuo progetto, offrendoti consigli che derivano dalla sua esperienza, condividendo esperienze e avvenimenti che dipendono dal suo lavoro, e lo fa perché non aveva un amico con cui andare a bere il caffè.
E’ vero, magari si occupa di social media e non ti ripara l’antenna, ma onestamente tu a un imbianchino diresti mai “Bellissimo: ora la stanza è esattamente come volevo io, grazie eh”??
E perché a noi capita sempre?
Anche qui dov’è che il ragionamento si interrompe?
E non entro nel merito fattura o no, perché scoperchierei il vaso di Pandora…
Parlo semplicemente del fatto che io sto facendo un lavoro, e in quanto tale va retribuito.
Se vado al ristorante non mi alzo senza pagare il conto, dove sta la differenza?
Caso mai sono io che, se ritengo sia il caso, ti propongo un accordo diverso.
Io stessa ho delle collaborazioni non retribuite che porto avanti perché mi fa piacere aiutare, dare il mio contributo in progetti nuovi, sperimentare; ma sono io a decidere di investire il mio tempo e dedicare le mie competenze gratuitamente.
In tutti gli altri casi chiedo una retribuzione.
Poi, accanto a questo, ci sono le regole di mercato: sconti dedicati a clienti abituali, nuovi progetti che si lanciano a costo zero, cambi merce…
Ma la regole di base, che dovrebbe essere insindacabile e normale, è che un lavoro si paga; altrimenti non è lavoro.
E non c’è distinzione tra piccola e grande azienda, tra startup e professionisti, anzi…
E’ una cosa su cui all’inizio mi sono imbattuta con perplessità e inesperienza, poi ci ho riflettuto confrontandomi con colleghe e amici, e su cui oggi non transigo più.
Anche qui parte dell’equivoco nasce dal fatto che faccio un lavoro che mi diverte, quindi visto che già mi diverto mica chiederò anche dei soldi?
Bé, vi stupirò ma sì.
Non sono una persona particolarmente attaccata al denaro, anzi.
Ho sempre lavorato, fin da quando ero più piccola e ho fatto davvero lavori di ogni tipo per pagarmi vacanze, svaghi o altro.
Andavo all’università e lavoravo, sempre.
La sera, di giorno, nei fine settimana.
Nei call center, nei locali, nelle scuole.
E l’ho sempre fatto per guadagnare dei soldi, pochi o tanti che fossero.
Da sempre, per me, i soldi sono “funzionali“: non ho mai avuto risparmi, o somme tenute via per chissà quale evenienza remota, ma li ho sempre gestiti in funzione di qualcosa.
Gli accantonamenti per i viaggi, i risparmi per il posticino, i soldi per le cene…
Ma sempre di soldi si parla, e per guadagnarli svolgo un lavoro.
Dopo aver fatto (quasi) di tutto, sono arrivata a un punto della vita in cui ho deciso di dedicarmi a questo particolare lavoro, e vorrei essere pagata, magari in un futuro anche molto bene!
L’ultimo oroscopo di Brezsny iniziava dicendo “Gli abitanti delle Isole Salomone comprano molti beni e servizi con la valuta locale, ma usano anche altre monete simboliche per pagare eventi sociali come le feste di matrimonio, risolvere controversie e presentare scuse ufficiali. Tra queste valute alternative ci sono i denti delle volpi volanti, una specie locale di pipistrello” e scherzando una mia amica con cui stavo discutendo questo tema me lo ha inoltrato dicendomi “la prossima volta fatti pagare in denti di volpi volanti”.
Chissà che prima o poi non accada davvero!
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