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Di femmine e femminismo

8 marzo, festa della donna, ho voluto scambiare riflessioni e pensieri con due professioniste, che ammiro e stimo, che ciascuna a sua modo, hanno parlato di femmina e femminismo nei loro ultimi lavori.

Silvia Zanella, manager e autrice esperta di futuro del lavoro, ha pubblicato il suo ultimo libro dal titolo “Il futuro del lavoro è femmina”.

Manuela Limonta, filosofa e mentor, ha da poco lanciato un corso online dal titolo “Consapevolezza femminista”.

“Silvia, tu hai scritto un libro dal titolo “Il futuro del lavoro è femmina”. Come mai femmina?”

Femmina perché femminili sono le competenze che ci verranno richieste in questo mondo in trasformazione; quelle che andranno a compendiare quelle tecniche e che si renderanno sempre più fondamentali in un mondo che vedrà il contributo cognitivo ed emozionale andare di pari passo rispetto al contenuto tecnologico.

Femmina perché serve un modo di lavorare “al femminile” che consideri l’inclusività, la comprensione, la differenza, la diversity. Che metta insieme modi di lavorare volti a una diversa gestione del tempo che non preveda l’accentramento di informazione, che preveda un appiattimento delle gerarchie, che preveda una condivisione. Tutte caratteristiche ovviamente non appannaggio delle sole donne, ma che contraddistinguono lo stile di leadership sicuramente più al femminile che al maschile.

Femmina perché ci serve una chiave di lettura diversa da quella che ha imperato fino ad adesso, perché in un momento di transizione come quello che stiamo attraversando ci serve un punto di vista differente.

“Leggo una frase: ““Le donne quando non fanno a gara con i maschi sono più efficaci”, me la commenti?”

Io credo che le leader che sono venute prima di noi abbiamo fatto enormi passi e per questo dobbiamo essere loro grate, ma probabilmente per molte di loro, mancando esempi da cui trarre ispirazione, il modello era l’emulazione maschile e quindi spesso andavano addirittura esacerbando alcuni tratti di cui si poteva fare tranquillamente a meno ed era molto difficile per loro trovare un modello proprio, una voce propria. Ecco perché dico che, se si fa gara col modello maschile, è una gara persa in partenza mentre io credo in un modello umano, a prescindere dal genere, che dia valore alle cose che fai e alle relazioni che crei e che dia contenuto alle persone. In questo secondo me le donne, in questa fase storica, hanno una marcia in più proprio perché molte delle loro qualità e delle loro doti archetipiche sono state finora molto poco valorizzate mentre è proprio il momento di tirarle fuori. Trovo ce ne sia molto molto bisogno, nella attuale cultura della trasformazione digitale che prevede un approccio e una mentalità molto diverse dalla cultura industriale e quindi ha bisogno di modelli diversi.

“Nella tua esperienza lavorativa quale pensi sia stata la qualità femmina che ti ha permesso di arrivare dove sei oggi?”

Ho sviluppato molto tardi la consapevolezza di quanto fosse importante tirare fuori il mio lato femmina, preoccupata fosse percepito come debole o di minor valore. Io stessa credevo molto nella supremazia della competenza tecnica e oggi ho capito che quest’ultima è imprescindibile, tanto importante da essere scontata, e che l’approccio fa la differenza.

L’empatia è la competenza che più mi riconosco nel mio passato recente e che si manifesta in due modi. Il primo, più classico, è quello di sintonizzarsi emotivamente con gli altri, mettersi nei loro panni e farli sentire ascoltati e capiti il più possibile. La seconda dimensione dell’empatia è l’adozione e l’incoraggiamento sistematico di esporre punti di vista differenti dal mio, che è fonte di stimolo, messa in discussione e innovazione. Tutti elementi fondamentali nei processi creativi e in quelli che riguardano la cultura aziendale, che rappresentano anche la parte più bella del mio lavoro.

“Manuela, 8 marzo, festa della donna, non potevo non chiedere a te una nota visto il titolo del tuo progetto “Consapevolezza femminista”, perché questo titolo?”

Ci sono varie ragioni per cui ho scelto questo titolo che, in effetti, non è solo un titolo ma anche un invito, un’affermazione positiva, un’opportunità; ma vorrei evidenziare un aspetto legato a ciò che questo titolo desidera suggerire: l’idea che nel femminismo risieda un’opportunità per coltivare la propria consapevolezza di persone, cittadine e cittadini, comunità e coltivare una pratica dell’inclusione (non solo teorica) che passa dai gesti, dai comportamenti, dall’ascolto, dal linguaggio, dall’empatia…

“Perché hai pensato di proporre un percorso storico filosofico sul tema?”

La comprensione di un fenomeno passa dalla conoscenza di quel fenomeno. Per potersi “fare un’idea” propria sul femminismo e metterlo in pratica, senza dover ricorrere a luoghi comuni o a idee preconfezionate, senza dover decidere velocemente “se stare dentro o fuori gli schieramenti”, può essere utile fermarsi e approfondire. Da filosofa accetto e divulgo l’idea che più conosciamo, più scopriamo i limiti della nostra conoscenza e, allo stesso tempo, iniziamo ad intraprendere un meraviglioso viaggio in profondità.

“Nella tua esperienza lavorativa quale pensi sia stata la qualità “femminile” che ti ha permesso di arrivare dove sei oggi?”

Io penso che ci siano qualità umane che nel tempo siano state declinate/create/interpretate al maschile e al femminile; sicuramente la mia identità di genere, l’essere e il sentirmi donna, il fatto di appartenere ad una comunità, mi ha fatto sviluppare un interesse profondo verso i temi riguardanti le donne e di coltivare qualità/atteggiamenti come la sorellanza, il non giudizio, l’accoglienza, la cooperazione e la gentilezza che hanno realmente dato vita e realizzazione al mio lavoro.

Spero che queste due visioni vi abbiano fornito spunti per osservare, in un’ottica diversa, il vostro essere femmine nella vita e nel lavoro.

Io, per quel che mi riguarda, continuo a lavorare nel mio modo: prendendomi cura delle donne che vogliono realizzare i loro sogni!

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