Mentore o coach

Ma tu sei una mentore o una coach?

Giorni fa ho googlato questa frase “differenze tra mentore e coach” perché, per un progetto a cui sto lavorando mi serviva precisare alcuni concetti sulla mia professione di mentoring che, spesso, viene associata o confusa con il coaching.

Beh, non ho chiarito nulla, anzi.

“Se vuoi migliorare le tue competenze e raggiungere un obiettivo, ti servirà un coach”…mmm

“La relazione tra il mentor e il mentee è di tipo verticale perché segue una logica dall’alto verso il basso”…mmm

“Il mentoring permette ad un individuo di replicare il piano di azione del mentore in una sorta di – ti spiego come ho fatto io e tu lo rifai”…mmm

A fine ricerca la conclusione su di me è stata “cavoli, ma allora non sono una mentore come pensavo di essere

Perché, per me, ci sono alcuni tratti irrinunciabili di quello che faccio e, soprattutto, di come lo faccio.

L’importanza della contaminazione

“Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri”

Così diceva Leonardo da Vinci e utilizzo questa frase perché, secondo me, esprime bene uno dei tratti irrinunciabili della mia professione: la contaminazione di pensieri, stili, conoscenze.

Mi definisco spesso uno strumento che facilita il passaggio tra i mondi che ciascuno di noi porta con sé.

I “mondi filosofici” come direbbe la mia collega Manuela Limonta.

Adoro l’idea che, attraverso di me, si incrocino cammini, vite e destini.

Perché in fondo ciascuno di noi può trasferire all’altro solo e soltanto ciò che a sua volta ha ricevuto.

Ecco, questo è il primo tratto del mio essere mentore.

Non a caso la frase “che bello, devo assolutamente farti conoscere…” è una di quelle che pronuncio più spesso!

L’importanza del successo

Almeno una volta nella vita ti sarà capitato di pronunciare o ascoltare la frase “l’allievo supera il maestro”.

Pare che questa frase derivi dal rapporto maestro allievo tra Verrocchio e Leonardo da Vinci, e nello specifico nell’angelo che Leonardo dipinse nel “Battesimo di Cristo”. Questo angelo venne dipinto talmente bene che Verrocchio decise di chiudere bottega, gesto che pare Leonardo commentò con la frase ”Tristo è quel discepolo che non avanza il suo maestro

Questo è il secondo tratto del mio essere mentore.

Tempo fa scrissi a una mia cliente “quanta gratitudine nel vedervi volare” perché è esattamente quello che sento nel mio lavoro: mi piace continuare a lavorare con le stesse persone, fidelizzarle, ma allo stesso tempo cerco di non tenerle legate altrimenti significa che non sto facendo del mio meglio.

L’importanza di conoscere le proprie capacità

Io sono una grande sostenitrice del fare rete e del rispettare le peculiarità di ciascuno.

Per questo in tanti miei percorsi coinvolgo più di una professionista, per offrire un ventaglio di metodi, punti di vista e stili diversi.

Nell’ultimo anno mi è capitato di utilizzare lo stesso metodo anche nei percorsi individuali alternando il mio contributo con quello di altre professioniste che stimo e apprezzo, per poter arrivare a formulare un’offerta più completa per il mio cliente.

Alcune volte è stato un “passaggio di testimone” tra il mio lavoro e quello delle mie colleghe, altre volte si è trattato più di una danza in cui i nostri metodi si alternavano volta dopo volta.

L’effetto finale è stato sorprendente e anche da questa sperimentazione sono nate le idee che faranno parte del mio futuro professionale.

La rete è il terzo tratto del mio essere mentore, quello senza il quale il mio lavoro sarebbe profondamente diverso da ciò che è oggi.

Ora io non lo so se questi tratti appartengono al mentoring, al coaching, o ad altro.

Quello che so è che fanno parte del mio essere mentore e che non potrei farne a meno.