13 Mag La mia beata solitudine
Prosegue il mio periodo introspettivo dedicato alla lealtà verso me stessa, che mi sta facendo costruire un personale Albero della Gratitudine in cui riportare tutti i valori e i concetti che mi appartengono nel profondo.
Non poteva mancare la “solitudine”, o per dirla esattamente come la penso e la sento io “la mia beata solitudine”.
Io sono figlia unica, e fin da bambina ricordo questa forte esigenza dentro di me.
Ho sempre avuto tanti amici, e una facilità estrema nel legare con le persone.
Ma la sensazione che provavo in certi momenti, quando mi chiudevo in camera a giocare, ascoltare musica, leggere e ballare…era impagabile.
Fin da piccola era il mio modo di ricaricare le batterie!
Non chiamatemi introversa, però!
Il concetto di “introversione” è diventato di moda negli ultimi anni.
Nell’epoca in cui io sono stata bambina prima, poi ragazza, e infine giovane donna il termine “introverso” faceva rima con “problema da risolvere”.
Professori e genitori che cercavano di tirare fuori i ragazzi solitari, come se ci fosse un comportamento da correggere.
Poi, negli ultimi anni, dire “io sono un introverso” è diventato un vanto, e ora in tutte le riunioni o i gruppi c’è almeno una persona che si presenta dicendo “Io sono introversa”.
Famoso è il Ted di Susan Cain sugli introversi di cui apprezzo molte parti.
E altrettanto famosa è la sua categorizzazione di quattro tipologie di personalità collegabili a introversione, estroversione, ansia e sicurezza. Collegando a matrice questi aspetti ne escono infatti i caratteri scontroso – impulsivo – riflessivo e socievole.
Io non so dire se sono un’introversa oppure no, ma a dirla tutta nemmeno mi interessa.
Concordo con Jung il quale diceva: “L’estroverso e l’introverso allo stato puro non esistono: se esistessero finirebbero chiusi in manicomio!”
Di una cosa sono certa: amo i momenti di beata solitudine.
Quelli in cui mi dedico del tempo e faccio le cose che mi danno piacere.
Ho imparato a prendermi questi momenti, perché l’educazione ricevuta in famiglia, al lavoro, e nei contesti sociali, mi avevano insegnato che viene “prima il dovere e poi il piacere”, che “l’ozio è la madre dei vizi” e così via.
Anche in questo caso, come ho fatto per il tempo e per il silenzio, ho dovuto riavviare il sistema.
Fermarmi, ascoltarmi, e capire che i momenti di “beata solitudine” erano una terapia per l’anima e per il corpo.
Mi facevano stare bene, e mi aiutavano a ricaricare le mie batterie per essere più efficace, più creativa e più produttiva.
Sono passata attraverso tre fasi.
La prima è stata quella della presa di consapevolezza.
In questa fase mi sono semplicemente accorta che quello che funzionava per gli altri non andava bene per me.
L’uscita con gli amici per rilassarmi su di me aveva l’effetto opposto perché tornavo affaticata e nervosa.
Lavorare in open space o nei coworking grandi mi distraevano e mi facevano perdere tanto tempo a cercare di restare concentrata, inutilmente per altro.
Per me funzionano i piccoli gruppi in cui si costruiscono relazioni profonde, la cena con le amiche del cuore in cui parlare, e le vacanze con la mia famiglia.
Ma ancor di più stare sul divano in silenzio col mio compagno a leggere un libro, e passare un pomeriggio di pioggia in casa da sola a stirare e guardare Poirot!
Quando devo ricaricare le mie energie ho bisogno di momenti di solitudine, capirlo e diventarne consapevole è stato il primo passo.
Poi è arrivata la fase dell’ascolto del campanello d’allarme.
Già, perché demolire la struttura non è stato facile, quindi dire di no ad alcune cose ha richiesto tempo e lavoro.
C’è stato un periodo, quindi, in cui tiravo tiravo tiravo finché non sentivo suonare l’allarme e allora correvo ai ripari liberando qualche buco qua e là da dedicare a me e a quello che mi faceva stare bene.
“Ma come?” Starai pensando “Non avevi acquisito consapevolezza?”
Sì, l’avevo acquisita, ma ero caduta in una trappola: quella del “ma fare questa cosa mi piace, quindi non è proprio lavoro”.
E così i momenti che, sulla carta, erano di cura per me, in realtà diventavano comunque attività da svolgere.
E capire questa sfumatura mi ha permesso di arrivare alla terza fase, quella risolutiva.
La fase della beata solitudine.
Ho iniziato a capire quali erano, per me, le attività che svolgevo solo per il piacere di farle.
Senza uno scopo o un obiettivo. Solo per la gioia che ne deriva.
E nel mio caso, salvo rare eccezioni, sono tutte attività solitarie.
Bere un caffè caldo guardando la pioggia fuori o aggiornando la mia bacheca di Pinterest “Coccole e desideri”.
Mettere un disco jazz e cucinare qualcosa di buono.
Rileggere Harry Potter o rivedere un film in bianco e nero.
Ma soprattutto, sapere che questi momenti per me sono come aria fresca, e quindi devo considerarli necessari al mio benessere psicofisico e devo trattarli con rispetto.
Oggi nella mia agenda ci sono giornate indicate con la scritta “beata solitudine”, e quando sono in camera a leggere ogni tanto arriva mia figlia a darmi un bacino e dirmi “ti stai godendo la tua beata solitudine?”
Oggi vorrei invitarti, ancora una volta, all’ascolto profondo di te.
A cercare di conoscere cosa ti fa stare così bene come la mia “beata solitudine”, e una volta individuato dedicargli il rispetto e l’attenzione che merita.
So che non è semplice, perché ci hanno insegnato che “non sta bene dedicarsi del tempo”, ma trovo che l’espressione inglese “Selfcare isn’t selfish” sia perfetta: la cura di sé non è egoismo.
Trovo sia difficile perché da un lato ci richiede di prenderci del tempo per noi stesse, e dall’altro lato necessita che capiamo cosa significa per noi “cura di sé” e ci dedichiamo esattamente a quello, senza condizionamenti esterni.
Nel mio piccolo vorrei accompagnarti in questa ricerca, e per questo ti invito a scaricare “Beata solitudine” in cui, come faccio sempre, ti lascio degli spunti molto personali e poi ti invito a cercare il tuo modo.
Io, per il fine settimana, ho già in mente una mattinata lenta con colazione a letto e libro, un pomeriggio di film e pisolini, e una cena romantica con pesce, chiacchiere e champagne.
E tu? Cosa ti dedicherai nelle prossime giornate?